Simulazione relativa: prova del prezzo reale asseritamente diverso da quello manifestato in atto avente forma scritta ad substantiam

La pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell'atto scritto soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall'art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto

In base all'art. 2722 c.c. “la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento” a meno che ricorrano le eccezionali ipotesi di reviviscenza della prova testimoniale previsti dall'art. 2724 c.c..

Il quesito si innesta a sua volta nel generale problema dei limiti probatori della sussistenza dell'accordo simulatorio. L'art. 1417 c.c. sancisce due regole:

a) per il terzo non vi sono mai preclusioni probatorie;

b) per le parti dell'accordo, invece, l'assenza di preclusioni ricorre solo ove si tratti di prova volta a dimostrare l'illiceità del contratto dissimulato: ne deriva, allora, che in tutti gli altri casi vale per le parti il regime di cui all'art. 2722 c.c. tale per cui “la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento” a meno che ricorrano le eccezionali ipotesi di reviviscenza della prova testimoniale previsti dall'art. 2724 c.c..

Per gli Ermellini non esistono dubbi per sciogliere il quesito di cui sopra, dato chela giurisprudenza di legittimità si è ormai stabilmente orientata nel senso che la pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell'atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall'art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto”.

La vertenza tra promittente venditore e promissario acquirente di una villa nella quale il primo asseriva che il reale prezzo convenuto per l'acquisto fosse superiore rispetto a quello indicato in contratto.

Di conseguenza : da un lato il promissario acquirente agiva in giudizio per vedersi trasferita ex art. 2932 c.c. la proprietà del bene asserendo, ovviamente, di non essere tenuto a versare somme ulteriori rispetto a quelle indicate in contratto; dall'altro il promittente venditore eccepiva in via riconvenzionale che il contratto preliminare dovesse essere dichiarato risolto per inadempimento del promissario acquirente, essendosi quest'ultimo reso inadempiente all'obbligo di pagare le somme dovute ancorchè non indicate in contratto.

Entrambi i giudizi di merito confermavano la tesi del promittente venditore, ritenendo - fondamentalmente - provato l'inadempimento del promissario acquirente: circostanza dirimente fu la prova testimoniale della consegna da parte del promissario acquirente al promittente venditore di un assegno bancario, rivelatosi poi emesso in assenza della corrispondente provvista bancaria, proprio a saldo della parte di prezzo non indicato in contratto.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26 settembre 2003 il Tribunale di Verona - adito da F.B. nei confronti della s.p.a. Accadia, di B. G., di Z.G. e di V. o Z. L. - respinse le domande dell'attore, dirette ad ottenere: la dichiarazione del proprio avvenuto acquisto dalla società convenuta, con una scrittura del 13 novembre 1990, di una villa nell'isola di (OMISSIS), o in subordine il trasferimento a lui stesso della proprietà dell'immobile, ai sensi dell'art. 2932, oltre al risarcimento dei danni; la condanna della stessa società, nonchè degli altri convenuti quali suoi fideiussori, al pagamento della somma necessaria per eliminare i vizi da cui il bene era risultato affetto; la riduzione del prezzo della vendita; la condanna della s.p.a. Accadia alla restituzione di un divano e quattro poltrone non rinvenuti nella villa. Il Tribunale accolse invece le riconvenzionali, dichiarando simulato il contratto - qualificato come preliminare - relativamente al prezzo della vendita, che era in realtà di L. 286.000.000 anzichè di L. 190.000.000 come indicato nell'atto; pronunciò la risoluzione dello stesso contratto per l'inadempimento dell'attore, consistito nel mancato pagamento del residuo prezzo di L. 96.000.000, portato da un assegno da lui rilasciato al rappresentante della società venditrice ma poi protestato; lo condannò al rilascio dell'immobile e al risarcimento dei danni nella misura di L. 19.000.000, pari alla caparra già versata all'altra parte.
Impugnata da F.B., la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Venezia, che con sentenza dell'11 aprile 2008 ha rigettato il gravame.
F.B. ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. La s.p.a. Accadia e B.G. si sono costituiti con controricorso, formulando a loro volta tre motivi di impugnazione in via incidentale e condizionata, ai quali F.B. ha opposto un proprio controricorso. Sono state presentate memorie dall'una e dall'altra parte. Non hanno svolto attività difensive in questa sede V. o Z.L. e Z.G..


MOTIVI DELLA DECISIONE
A dimostrazione del proprio assunto, secondo cui il reale prezzo della vendita in questione ammontava a L. 286.000.000 anzichè a L. 190.000.000 come indicato nell'atto, la società Accadia aveva prodotto in primo grado un assegno dell'importo di L. 96.000.000, a suo dire rilasciatole da F.B. per il pagamento "in nero" della differenza, ma poi protestato. Aderendo a tale tesi, il Tribunale ha accolto le domande riconvenzionali. La Corte d'appello ha confermato la decisione, osservando che tuttavia dell'assegno non si poteva tenere conto, avendo F.B. disconosciuto la firma di emissione a suo nome che figurava nel titolo e non avendo la società Accadia presentato l'istanza prescritta dall'art. 216 c.p.c. Ha però ritenuto che la prova dell'effettivo ammontare del prezzo della vendita fosse desumibile da altri elementi: la prova testimoniale assunta in primo grado, dalla quale era emersa l'avvenuta pattuizione del prezzo in L. 286.000.000 e la sottoscrizione e consegna del titolo da parte di F.B.; la sentenza del Tribunale di Vicenza, di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., pronunciata nel procedimento promosso contro lo stesso F.B. per aver falsamente denunciato lo smarrimento dell'assegno; la sentenza del Tribunale di Verona, di rigetto dell'opposizione proposta da F.B. avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti su ricorso del portatore del medesimo assegno.
Con i due motivi addotti a sostegno del ricorso principale si contesta che la sentenza impugnata, sul punto, sia conforme a diritto e congruamente motivata, in quanto la prova dell'asserita simulazione del contratto, relativamente al prezzo di vendita, è stata ricavata da testimonianze e presunzioni, mentre avrebbe potuto essere fornita soltanto con atto scritto.
I resistenti nella loro memoria hanno obiettato che la questione è preclusa dal giudicato esterno formatosi in seguito alla sentenza di questa Corte n. 11509/2014, dichiarativa dell'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto da F.B. avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia n. 1668/2006, con la quale si era accertata l'autenticità della firma di emissione dell'assegno di cui si è detto e l'avvenuta sua consegna all'amministratore della società Accadia, anche se per altre ragioni era stato revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dal successivo prenditore del titolo.
Poichè il vincolo derivante dal giudicato è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità, è ammissibile la produzione delle suddette sentenze, compiuta dai controricorrenti (Cass. 27 gennaio 2011 n. 1883). L'eccezione va però disattesa, data la diversità sia di persona, sia di causa petendi, sia di petitum tra i due giudizi di cui si tratta, nei quali non vi è quella coincidenza di parti e di materia che è necessaria per l'operatività della preclusione da giudicato (Cass. 21 maggio 2014 n. 11219).
Il ricorso principale è fondato.
La giurisprudenza di legittimità si è ormai stabilmente orientata nel senso che la pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell'atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall'art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto (Cass. s.u. 26 marzo 2007 n. 7246, con cui è stato composto il contrasto che sul tema si era verificato nell'ambito delle sezioni semplici di questa Corte). A questo principio - che viene qui confermato e ribadito, non ravvisandosi ragioni per discostarsene - non si è attenuta la Corte d'appello, la quale ha ritenuto provato che il reale prezzo della vendita fosse maggiore di quello indicato nel contratto, sulla scorta dell'esito della prova testimoniale assunta e delle risultanze di altri due giudizi (risultanze che ugualmente non potevano essere utilizzate, per il disposto dell'art. 2729 c.c., avendo valore di semplici elementi indiziari: Cass. 18 settembre 2000 n. 12288 e Cass. s.u. 26 gennaio 2011 n. 1768, con riferimento rispettivamente ai giudizi civili e a quelli penali). L'argomentazione svolta nella sentenza impugnata è peraltro incoerente ed elusiva, in quanto la prova della simulazione, per il tramite delle suddette testimonianze e presunzioni, è stata pur sempre tratta dall'assegno, di cui la stessa Corte d'appello aveva affermata l'inutilizzabilità.
Non ostano all'accoglimento del ricorso principale i principi, invocati dai resistenti nel loro controricorso, in materia di prospective overrulig, che escludono la soggezione a cassazione delle sentenze conformi alla univoca giurisprudenza di legittimità del tempo in cui sono state pronunciate. Il richiamo a tali principi non è conferente, per la decisiva e assorbente ragione che la loro applicabilità è limitata al campo del diritto processuale (Cass. 24 marzo 2014 n. 6862), mentre le norme sull'ammissibilità ed efficacia dei mezzi di prova hanno natura sostanziale (Cass. 19 marzo 2014 n. 6332). Peraltro la sentenza impugnata è successiva alla citata Cass. 7246/2007, nè questa ha dato luogo a un radicale revirement di giurisprudenza, dato che in precedenza anche il diverso indirizzo era seguito da questa Corte.
In conformità con quanto è stato deciso con Cass. s.u. 25 marzo 2013 n. 7381, l'esame del ricorso incidentale, in quanto condizionato, è stato posposto a quello del principale, anche se con il terzo motivo viene rivolta alla sentenza impugnata una censura di carattere pregiudiziale: essere stata erroneamente disconosciuta l'inammissibilità dell'appello proposto da F.B. avverso la sentenza di primo grado, inammissibilità derivante dalla non autenticità della firma della procura alla lite a margine dell'atto introduttivo del giudizio di gravame.
In proposito la Corte d'appello ha osservato che l'impugnazione contro la sentenza del Tribunale era stata proposta in nome di F.B. dal procuratore da lui già nominato in primo grado, con effetto anche per il secondo, mediante il mandato apposto a margine di una comparsa di costituzione di nuovo difensore, sicchè ha ritenuto irrilevante che la firma dell'ulteriore procura rilasciata allo stesso legale fosse eventualmente apocrifa e ha dichiarato quindi inammissibile la querela di falso proposta dagli appellati in relazione a tale sottoscrizione.
Sostengono la società Accadia e B.G. che la procura precedente avrebbe dovuto essere giudicata invalida, non essendo contenuta in uno degli atti tassativamente indicati dall'art. 83 c.p.c. La tesi non è fondata.
Il precedente richiamato dai ricorrenti incidentali (Cass. 26 novembre 2004 n. 22285) non è pertinente, in quanto riguarda il caso di una procura rilasciata su un foglio separato, del tutto autonomo da ogni atto del processo.
Con riferimento alle fattispecie come quella di cui qui si tratta, invece, già prima delle modificazioni introdotte nell'art. 83 c.p.c. dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45 questa Corte era costantemente orientata nel senso della piena validità di procure alla lite rilasciate in calce o a margine di atti non menzionati nella suddetta disposizione, come in particolare proprio le comparse di costituzione di nuovo difensore (v., tra le altre, Cass. 15 aprile 2005 n. 7920). Alla luce di tale principio, risulta corretta la decisione adottata sul punto dalla Corte d'appello.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la società Accadia e B.G. lamentano che erroneamente e ingiustificatamente la Corte d'appello ha escluso che fosse stata presentata istanza di verificazione dell'autenticità della firma di emissione dell'assegno, dopo il suo disconoscimento da parte di F. B.: istanza per la quale non occorrevano formule sacramentali, potendo risultare implicitamente dal comportamento processuale della parte che aveva prodotto il documento.
A questa censura il resistente ha replicato, nel suo controricorso, sostenendo che non può avere ingresso in questa sede, poichè l'accertamento del Tribunale circa la omessa promozione del procedimento di verificazione non aveva formato oggetto di gravame.
L'obiezione è infondata, poichè il giudice di primo grado ha adottato la sua decisione prescindendo da ogni questione in ordine alla mancata presentazione dell'istanza di verificazione.
La doglianza dei ricorrenti incidentali va accolta, in adesione alla costante giurisprudenza di questa Corte (oltre ai più remoti precedenti citati dai ricorrenti, v. f tra le altre, Cass. 24 maggio 2012 n. 8272) secondo cui l'istanza di verificazione della scrittura privata disconosciuta può essere anche implicita, come quando si insista per l'accoglimento della pretesa presupponente l'autenticità del documento. L'eventuale ravvisabilità nella specie di tale ipotesi è questione che la Corte d'appello ha del tutto mancato di affrontare.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale la società Accadia e B.G. sostengono che l'assegno in questione era comunque utilizzabile nel giudizio a quo, ai sensi dell'art. 2724 c.c., in quanto costituente principio di prova scritta.
L'assunto va disatteso, poichè presuppone e dà per scontato che il titolo sia stato realmente emesso da F.B.: ipotesi che nella sentenza impugnata non ha formato oggetto di accertamento, nè positivo nè negativo, a causa dell'impedimento ravvisato dalla Corte d'appello alla utilizzazione di quel documento come prova, in seguito al suo mancato disconoscimento.
Ne consegue che sono ultronee in questa sede le altre questioni, prettamente di merito, prospettate dalle parti anche in relazione ad altri motivi di ricorso, a proposito della ritualità della produzione in giudizio dell'assegno, dell'idoneità delle prove assunte a dimostrazione dell'autenticità della firma di emissione del titolo, della sua riferibilità al rapporto derivante dal contratto intercorso tra F.B. e la società Accadia:
questioni tutte che non sono state affrontate nel giudizio a quo e non possono quindi essere introdotte in questo.
Accolti pertanto il ricorso principale e il primo motivo dell'incidentale, rigettati il secondo e il terzo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice (non ricorrendo le condizioni perchè la causa possa essere decisa nel merito in questa sede, come il ricorrente principale ha chiesto), che si designa in una diversa sezione della Corte d'appello di Venezia, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.


P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale; rigetta il secondo e il terzo; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2015

 

 

 

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